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Perché rappresentiamo la Natività

Perché rappresentiamo la Natività

I nostri maestri, genitori e amici della Scuola hanno portato come ogni anno la recita della Natività. Quest'anno si sono uniti alla compagnia tre ex alunni e uno di loro, Agostino, ha scritto questa riflessione che condividiamo.

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(foto di Nayeli Salas)

Quando ero uno studente, durante gli ultimi anni di frequentazione della scuola, con l’arrivo del Natale, mi rendevo conto che con esso avremmo di nuovo assistito alla recita di Natale, la “recita dei maestri”. Anno dopo anno la narrazione diveniva per noi ragazzi sempre più scontata, finché in ottava classe sapevamo praticamente a memoria tutte le battute. Non avevo mai capito fino ad oggi il vero motivo per cui la Natività viene riproposta ogni anno a tutte le classi, e non solo ai più piccoli che ancora non la conoscono a memoria.

Oggi, mentre ero seduto a guardare i tre pastori inginocchiati di fronte alla greppia a cantare, mi sono reso conto davvero, finalmente dopo tanti anni, della vera importanza dell’immagine della Natività. Ciò che viene rappresentato sul palcoscenico è l’archetipo dell’atto del donare, l’atto di amore per eccellenza, l’atto che sancisce la nostra fuoriuscita dal regno dell’ego, quello che può dare la misura della nostra maturità e ciò su cui si fonda il consorzio umano.

Nella rappresentazione vediamo il più potente dei potenti farsi uomo, e non un uomo qualsiasi, il più povero e misero tra di noi, nato al freddo ed al gelo. Ma perché non mostrarlo adulto? Perché non mostrare il Messia nelle sue altre innumerevoli pene? Forse perché è nel momento in cui viene al mondo che esso è più vulnerabile. Non ha nulla per proteggersi da un mondo aspro, crudele, freddo, e gli unici che possono capirlo sono proprio i pastori, chi, come lui, già ha sofferto simili sofferenze, gli unici che possono capirlo, consolarlo ed aiutarlo.

Questo è il mestiere del maestro e della maestra. Questo è il mestiere di chiunque scelga di lavorare nella scuola. In nessun momento della rappresentazione, dalla sua apparizione, il bimbo Gesù smette di stare al centro della scena, così come in nessun momento i bimbi e le bambine, i ragazzi e le ragazze smettono di essere al centro dell’attenzione dei maestri. Nel momento stesso in cui si tiene la recita, l’attenzione di chiunque è su quel prezioso pubblico, è nel momento in cui si entra in scena davanti ai bambini che sale l’ansia e la paura di sbagliare, non davanti ai grandi.

I doni che i pastori porgono in grande umiltà al Salvatore è allora nient’altro che il dono che noi tutti, ma soprattutto i maestri, porgiamo ai bambini della scuola, ovvero ciò che serve per affrontare questo mondo: il latte, la lana e l’agnello sono gli insegnamenti, le emozioni, i consigli ed i riguardi che tutti i componenti di questa comunità hanno per chi gli succederà. Ognuno dona quel che può, nel suo piccolo, senza distogliere mai l’attenzione da ciò che serve.

Ma non basta. In un saggio sul dono Marcell Mauss scrive che la sua caratteristica più importante è quella di doverlo ricambiare. In una comunità che si fonda sul dono dunque questo deve poter essere ricambiato, essere reciproco. Ecco allora che recitando di fronte ai bambini mi rendo conto di ciò che sto facendo davvero, non un servigio alla comunità e nemmeno una recita, non sono solo parole e canti, il mio non è solo un personaggio. Sto ricambiando, nel mio piccolo, il dono che ogni anno, ogni giorno mi ha fatto questa scuola, che mi ha fatto la mia maestra, sto prendendo parte ad un ciclo che, se ben curato, vedrà un giorno i bimbi che oggi hanno assistito alla recita di Natale prendere il mio posto; sto prendendo parte alla cura di quei semi che vedo ora sbocciare in me e negli altri, semi che a loro volta sono stati da altri piantati, persone alle quali va il mio ringraziamento.

Agostino Malfattore             19 Dicembre 2025

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